La scena non la vediamo, ma sentiamo voci concitate di medici che si affannano intorno a una persona infortunata. La situazione deve essere grave, perché uno dei soccorritori chiede sgomento: «Da dove viene tutto questo sangue?!». Gli risponde un’operatrice: «L’anello, dottore: guardi il diamante!». E una voce fuori campo chiarisce: «In certi diamanti c’è il sangue di interi popoli sfruttati». Per poi entrare nel vivo della questione: «È questo il diamante che vuoi?». A molti nel milanese non sarà sfuggito questo fortunato spot radiofonico attraverso il quale, con qualche variazione sul tema, la Gioielleria Belloni pubblicizza dal 2005 i propri diamanti etici, “estratti rispettando l’uomo e l’ambiente” (un altro spot, più recente, si focalizza invece sull’oro fairmined). Dei gioielli a prova di etica Francesco Belloni e la sorella Luisa, attuali proprietari della storica gioielleria aperta dal nonno negli anni Venti, dal 1955 operativa nella centralissima Via Lamarmora, sono stati in Italia veri e propri pionieri: «Pensi che è nato tutto da un rifiuto – ricorda Francesco Belloni – Ogni anno nel periodo di San Valentino eravamo soliti devolvere in beneficenza, ad associazioni sempre diverse, una percentuale delle vendite. Nel 2004 avevo scelto come destinatario Survival International e ci rimasi malissimo quando i responsabili dell’associazione, attiva nella protezione dei popoli indigeni e delle loro terre, mi spiegarono che non potevano accettare la mia donazione: all’epoca infatti Survival International era impegnata nel boicottaggio di De Beers per la questione del land grabbing a danno dei Boscimani in Botswana. Così ho cominciato a cercare una fonte equa, fuori dalle logiche delle grandi compagnie, e ho scoperto le due miniere canadesi presso le quali ho cominciato ad approvvigionarmi. Il primo diamante è arrivato in negozio il 15 Luglio 2005, ricordo perfettamente la data perché era il mio compleanno e mi è parso un segno del destino!».
Ammetterà che c’è molta confusione – per non parlare di una comunicazione non sempre corretta – intorno a questo tema. Cosa intende per diamanti “etici”?
«Molto semplicemente, realmente rispettosi dell’uomo e dell’ambiente. Ogni singolo Ethical Diamond è accompagnato, oltre che dalla garanzia che ne specifica le caratteristiche gemmologiche, dalla certificazione dell’origine tramite l’incisione di un codice alfanumerico e della foglia d’acero, simbolo del Canada. Inoltre viene fornita la garanzia che tutta la filiera aderisce al Canadian Diamond Code of Conduct, la severissima legislazione canadese che regola l’estrazione e la vendita di pietre. In pratica le miniere canadesi assicurano la sicurezza e la corretta retribuzione dei lavoratori nonché il massimo rispetto delle comunità locali e dei loro territori».
Stesso discorso per l’oro fairmined?
«Il nostro Oro Fairmined Etico proviene dalla Colombia: è estratto e commercializzato secondo i criteri del mercato equo e solidale e della certificazione Fairmined. Nelle miniere certificate Fairmined l’estrazione avviene nella sicurezza dei lavoratori e nel rispetto del territorio, insomma in maniera equa e sostenibile. Per esempio il mercurio non viene disperso nell’ambiente, le sabbie vengono decontaminate e recuperate, la falda acquifera non viene inquinata. E poi le miniere su piccola scala sono proprietà di cooperative di minatori e il ricavato va alle famiglie e alle comunità. Le cooperative fanno capo alla Alliance for Responsible Mining che verifica il pieno rispetto delle condizioni».
Quanto incide l’etica sul costo dei materiali?
«Per quanto riguarda i diamanti, per le carature più piccole bisogna calcolare fino a un 20% in più, perché su cifre basse incide molto la certificazione, ma a partire dai 30- 40 punti il costo è sostanzialmente uguale a quello dei diamanti senza questo tipo di certificazioni. L’oro etico viene a costare all’incirca dagli 8 ai 10 euro in più al grammo. Le miniere etiche certificate stanno lentamente crescendo di numero, sono ancora poche ma a quelle già attive in Perù, Colombia e Mongolia dovrebbero aggiungersene presto altre che stanno facendo i passi necessari per la certificazione in Sud America e in Africa. Più si diffonde la cultura dell’etica, più conveniente l’etica diventerà per tutta la filiera».
Qual è il bilancio di questi 15 anni?
«Per quello che riguarda la nostra gioielleria, considerando anche l’attenzione delle generazioni più giovani per le tematiche sociali e ambientali, le assicuro che l’aver focalizzato produzione e comunicazione su materie prime eticamente certificate è stata la salvezza. La stragrande maggioranza degli articoli che vendiamo appartengono alle nostre linee etiche. I clienti vengono apposta anche da lontano alla ricerca di gioielli equi e responsabili. Inoltre da circa un anno affianchiamo all’attività della gioielleria quella di banco metalli: possiamo vendere oro e argento certificati fairmined anche a operatori del settore, orafi e designer. Poi, senza retorica, c’è un discorso personale: quando ho visitato la miniera colombiana che mi fornisce l’oro, ho visto negli occhi dei minatori tutto il loro orgoglio per come, grazie al loro lavoro, contribuivano allo sviluppo della comunità. Mi sono sentito parte di tutto questo. Un’emozione indimenticabile».
La clientela tipo della vostra gioielleria?
«La nostra è una clientela curiosa e interessata all’attualità, abbastanza omogenea per livello culturale ed economico, che definirei medio- alto, trasversale per età e provenienza. Stanno aumentando parecchio anche le coppie di sposi che comprano da noi le fedi etiche. Intorno al negozio, inteso come luogo fisico e virtuale, si è venuta a creare una sorta di comunità, sulla base di valori e di un modo di pensare condivisi: per questo anche nel momento terribile che stiamo attraversando mi permetto di guardare con fiducia al futuro».
Foto in evidenza: Francesco Belloni (a sinistra) con la sorella Luisa e il loro collaboratore Gianluca Marchesi.