Iniziata lo scorso anno per ripristinare la barriera corallina malese a Tyoman, la collaborazione tra Dodo e l’impresa sociale Tēnaka, fondata dalla giovane ricercatrice Anne-Sophie Roux, prosegue anche quest’anno con un secondo capitolo dedicato sempre all’ambiente. Il progetto si chiama Dodo Blue Forest e prende ispirazione dal concetto di Blue Carbon, il carbonio rimosso dall’atmosfera ad opera degli ecosistemi costieri e marini. Sono proprio questi ecosistemi, come le mangrovie e le paludi di marea, ad assorbire la metà della quantità totale di carbonio emesso. Negli ultimi cinquant’anni, però, il 50% delle mangrovie è stato distrutto, perdendo così gli indiscutibili benefici che questo ecosistema ha sul pianeta. Per far fronte a questa distruzione ambientale, Dodo e Tēnaka hanno scelto di ripiantare 3000 alberi di mangrovie su 2 ettari di costa malese, nello stato di Sabah. «All’inizio dei miei studi ho visitato 8 diversi Paesi dell’Asia e del Pacifico e ho acquisito specifiche conoscenze di biologia che mi hanno permesso di comprendere l’importanza dell’oceano per risolvere la crisi climatica – spiega Anne-Sophie – La mia collaborazione con Dodo nasce dalla volontà del brand di avere un impatto positivo e sostenibile sull’ecosistema. Penso che tutte le aziende dovrebbero essere coinvolte in questo modo, non solo riducendo gli impatti negativi ma essendo loro stesse in prima linea per produrre effetti positivi».
In che modo il ripristino delle foreste di mangrovie può aiutare a fermare il cambiamento climatico?
«Quando parliamo di CO2 il primo ambiente a cui pensiamo è la foresta amazzonica ma non molti sanno che l’oceano assorbe ben il 38% di anidride carbonica emessa annualmente. Le mangrovie sono delle vere e proprie foreste che vivono sulla costa, sotto l’oceano, tra l’acqua e la terra. Sono in grado di assorbire più CO2 della foresta amazzonica grazie alle loro radici che, dopo averne assorbito una grande quantità, la rilasciano nelle profondità dell’oceano. Il ripristino di questi habitat non contribuisce soltanto alla mitigazione della crisi climatica ma anche al ripristino delle micro biodiversità, al sostentamento delle comunità locali e, così come per il reef, alla protezione dei villaggi limitrofi dai disastri naturali».
Che procedimento utilizzate per salvaguardare questo ecosistema?
«Tutto inizia dai semi delle mangrovie che vengono prelevati dagli alberi maturi e portati in una nursery per 6/12 mesi dove vengono monitorati dai biologi di Tēnaka. Quando raggiungono più o meno il metro di altezza e quando le radici sono ben sviluppate allora vengono piantate nei siti prestabiliti e monitorate. I biologi, insieme agli studenti delle scuole locali coinvolte nel progetto, controllano la loro crescita ma anche l’impatto che hanno in ambito di CO2 e di biodiversità».
Cosa pensano gli studenti del luogo dei problemi ambientali che stanno affrontando?
«Le generazioni più giovani sono molto critiche riguardo a queste tematiche e, avendo l’opportunità di vedere con i propri occhi i benefici del programma, hanno anche modo di rendersi conto di come agire nel futuro. La maggior parte delle persone della mia generazione sa di avere il potere di cambiare le cose. È la prima generazione a sperimentare la crisi climatica e sa che, a prescindere da dove viva, dovrà affrontarne le conseguenze. Quello che mi sento di dire alle generazioni più giovani è di usare le proprie competenze e la passione per fare la differenza».
Quindi c’è ancora speranza per poter cambiare questa critica situazione ambientale?
«Ad essere sincera, nonostante tutte le cose negative che si sono verificate in questi ultimi anni, sono ancora ottimista per la salvezza dell’ambiente perché ho avuto modo di vedere dal vivo la capacità di resilienza degli oceani. Ci sono un sacco di studi scientifici che mostrano come un piccolo progetto possa avere un forte impatto positivo sugli oceani grazie proprio alla loro capacità di adattarsi rapidamente al cambiamento. Quando ripristini la zona delle mangrovie vedi come i pesci ripopolano l’area molto velocemente, come vi trovano riparo. È qualcosa di tangibile, non più solo un sogno».
Il simbolo del progetto Blue Forest è un particolare bracciale Granelli Dodo for Tēnaka, hai partecipato alla sua realizzazione?
«Ho avuto modo di incontrare i designer di Dodo con cui ho scelto i colori ma soprattutto i materiali da utilizzare. Il bracciale, infatti, è realizzato con materiali plastici raccolti nel Mar Mediterraneo. Un’altra scelta sostenibile che rappresenta i diversi modi in cui si può fare la differenza».
Nell’attesa che Blue Forest prende il via, che risultati ha ottenuto il progetto lanciato da Dodo e Tēnaka l’anno scorso per salvaguardare le barriere coralline?
«Dopo un anno l’affluenza dei pesci è aumentata del 30%. Questo significa che le condizioni dell’ecosistema sono migliorate. È aumentata anche la presenza di conchiglie, stelle marine e di tutti quegli invertebrati che si trovano sul fondale e che aiutano a pulire le acque. Sono tornati anche gli squali che si trovano all’apice della catena alimentare. Questo significa che il reef è in salute. Un risultato che non ci aspettavamo e che ci ha piacevolmente sorpreso riguarda una particolare specie di tartaruga marina, la tartaruga embricata, classificata come a rischio estinzione. Alcuni esemplari di questa tartaruga sono venuti a ripararsi proprio nella nursery che abbiamo creato e da quel momento sono diventati il simbolo del progetto pensato con Dodo per il ripristino del reef».
Cosa c’è nel futuro di Tēnaka?
«Al momento siamo totalmente focalizzati sugli ecosistemi Blue Carbon. Oltre alle mangrovie ci sono anche altre piante acquatiche che assorbono grandi quantità di CO2. Per non andare lontani, basti pensare alla Posidonia del Mediterraneo. Quest’anno vorremmo proprio allargare il nostro progetto anche a questi altri ecosistemi e, più avanti, aprire nuovi siti di ripristino in più aree degli oceani in modo da amplificare l’impatto dei nostri progetti locali».