di Laura Inghirami
30 giugno 2021
Gli antichi egizi hanno lasciato un segno indelebile della loro affascinante cultura in molteplici ambiti, fino ad arrivare al gioiello. Molte delle tecniche di oreficeria utilizzate ancora oggi sono riconducibili proprio al popolo del Nilo. Un popolo che ha sempre considerato il gioiello come un amuleto potente, da indossare in vita come in sepoltura, nel viaggio verso l’aldilà.
Al tempo degli egizi, i gioielli godevano di grande importanza e venivano indossati da uomini e donne di ogni estrazione sociale, così come dai bambini. Le ragioni sono riconducibili all’estetica ma soprattutto al valore di protezione che gli si attribuiva: si pensava infatti che i gioielli fossero potenti amuleti capaci di difendere l’uomo da pericoli come calamità, malattie e animali feroci. Proprio per questo venivano spesso indossati all’altezza degli organi vitali o dei punti più vulnerabili. Per esempio la conchiglia cipride, con le sue labbra dentellate, rappresentava per gli antichi egizi un occhio vigile in grado di proteggere dal malocchio. Per questo motivo le donne la indossavano spesso all’altezza degli organi genitali per proteggersi dall’infertilità e dagli aborti. Un altro potente simbolo di protezione era l’occhio di “Oudjat”, ovvero l’occhio di Horus, dio del cielo. Sono innumerevoli le rappresentazioni dell’occhio giunte fino a noi, così come quelle dello scarabeo. La loro diffusione fa pensare che fossero due tra i simboli considerati più potenti.
Anche il capo veniva abbellito e protetto da molteplici ornamenti. I cerchietti, per esempio, realizzati con ghirlande di fiori e posti intorno alla fronte, erano molto diffusi tra i naviganti e venivano indossati come protezione durante le battaglie sulle barche di papiro. I più preziosi erano realizzati in oro e, tra i più noti, figurano il cerchietto di Seneb-tisi di Lisht e quello della principessa Khunumet di Dahshur che, oltre all’oro, presentava magnifiche pietre blu incastonate. I cerchietti che rappresentavano il simbolo dell’avvoltoio erano dei veri e propri diademi reali, realizzati in lamine d’oro e lavorati con la tecnica del traforo. Oltre che da questi accessori, il capo veniva abbellito da parrucche ornamentali nelle quali i capelli erano impreziositi da fili di piccole perline tubolari o a forma di geroglifici. Era usanza anche adornare una ciocca di capelli dei bambini con un piccolo pesce in oro o in turchese, probabilmente come protezione dall’annegamento. Molto diffusi tra i bambini erano anche i fermagli preziosi che servivano per tenere in ordine i capelli, come attestano i ritrovamenti della tomba di Ramesse III. Orecchini, bracciali per polsi e braccia, cavigliere rigide e apribili, fastosi pettorali e collane venivano indossati da re, regine e faraoni, ma anche dai gatti, animali considerati sacri e che godevano del più grande rispetto.
L’oro, che veniva utilizzato ad alto grado di purezza, tra i 17 e i 22 carati, era senza dubbio il materiale considerato più prezioso e anch’esso aveva un grande valore simbolico: si pensava che fosse così splendente perché proiettasse la luce delle divinità stesse. Alla simbologia dell’oro si uniscono quelle legate alle pietre preziose come il granato, il lapislazzuli, la turchese, la corniola, l’acquamarina e lo smeraldo. Tutte le pietre venivano infatti scelte per la simbologia del colore a cui venivano attribuite particolari caratteristiche magiche. Tra queste pietre, lo smeraldo, particolarmente apprezzato da Cleopatra, godeva di particolare fama per il colore verde intenso che rimandava alla rinascita, alla fertilità e alla giovinezza.
Gli studiosi riferiscono della grande stima che ricevevano i gioiellieri del tempo come conseguenza dell’immenso valore che aveva il gioiello per gli antichi egizi. Gli artigiani orafi ricevevano un’educazione da scrivano per poi specializzarsi in arti decorative. Lavoravano presso le botteghe del faraone e godevano di rispetto e protezione. Il mestiere del gioielliere era considerato prestigioso ed era riservato a pochi eletti in quanto legato all’arte e all’oro. Per questo veniva gelosamente tramandato di padre in figlio.
Proprio come oggi, anche al tempo sembra vi fossero varie figure professionali specializzate. Tra le più importanti il “neshdy” o intagliatore di pietre preziose, il “nuby” ossia l’orefice, e il “baba”, lo specialista in cotti e paste di quarzo colorate. Il “baba” era una figura simile all’“iru weshnet”, impegnato nella creazione di perline. Queste ultime erano prodotte in grande quantità e venivano realizzate in cristallo di rocca, conchiglie, ossa, porcellana e poi successivamente in vetro. Un’altra figura importante era il “sestro”, che produceva collane e collari.
Oggi conosciamo la ricchissima cultura degli antichi egizi anche grazie agli artigiani orafi vissuti successivamente che hanno analizzato i monili riportando alla luce le antichissime tecniche, i materiali e gli strumenti che venivano utilizzati al tempo. La storia è maestra: dovremmo infatti imparare da questo popolo, per il quale le figure di coloro che diffondevano la bellezza (ovvero gli artisti e gli artigiani) erano centrali.