di Laura Inghirami
29 ottobre 2021
Un secolo fa, durante gli anni Venti del Novecento, la nostra società viveva un momento di sfrenata euforia, i cosiddetti anni ruggenti: tale espressione incarna alla perfezione lo spirito di quel tempo. Il primo conflitto mondiale era finito e il desiderio di rivalsa sulle sofferenze causate dalla guerra portava con sé un incontenibile desiderio di rinascita e una forte spinta alla vita e ai suoi piaceri. La gioia sovrastava finalmente la paura e la creatività sembrava brillare più che mai. Tra avanguardie artistiche (come cubismo, surrealismo ed espressionismo), moda, cinema, musica jazz e charleston, nel primo dopoguerra la cultura rifiorì all’insegna di vivacità e follia.
Il sempre più diffuso desiderio di progresso e di modernità, intesa come “sdoganamento dal passato e superamento delle frivolezze”, come scrive Alba Cappellieri nel libro Gioielli, dall’Art Nouveau al 3D Printing, si tradusse in un nuovo movimento che influenzò l’intera produzione artistica dell’epoca, dall’architettura alla moda e all’oreficeria: l’Art Déco. Questo movimento si caratterizzava per lo stile sobrio, elegante, geometrico, alquanto distante dall’opulenza della Belle Époque. Nel 1925, a Parigi, si tenne l’Esposizione Internazionale di Arti decorative e industriali moderne: questa data sancì la piena maturità dell’Art Déco, il cui nome rimanda appunto a questo evento. Parteciparono artisti e gioiellieri di fama internazionale tra i quali Van Cleef & Arpels, Cartier, Boucheron, Chaumet, René Lalique, Vever e Fouquet.
L’universo dei gioielli realizzati dai maestri dell’Art Déco si componeva di creazioni sofisticate dai forti contrasti cromatici, in particolare contrapponendo colori come il rosso, il bianco e il nero. Il mito della natura e della sua sinuosità era stato sostituito dall’industrializzazione attraverso le forme rigide e artificiali della città e dei grattacieli: l’ispirazione al mondo animale e vegetale che aveva precedentemente caratterizzato l’Art Nouveau permase, ma assunse forme più severe e geometriche. Un esempio è il bracciale Rose di Van Cleef & Arpels che al grande evento del 1925 vinse il Grand Prix. Il gioiello in platino, decorato da rose in rubini, smeraldi, onice, diamanti gialli e bianchi, testimonia il gusto per la linearità e simmetria di quel tempo, seppure il motivo floreale sia solo sottilmente stilizzato. A questo bracciale la Maison si ispirò per la realizzazione dell’omonimo Vanity case in platino, oro giallo, giada, smalto, rubini, zaffiri gialli, smeraldi e diamanti.
Un’altra forte ispirazione in quel periodo arrivava dall’immaginario esotico. Nel 1922 la scoperta della tomba di Tutankhamon diede il via in Europa a una sempre crescente passione per l’arte egizia, che venne riprodotta dall’oreficeria tramite l’utilizzo di simboli quali scarabei, divinità e sfingi e la realizzazione di bracciali alti e rigidi di grandi dimensioni e collier ispirati ai pettorali egizi. Oltre a quella egiziana, anche l’arte africana fu di grande interesse e influenzò i volumi e le forme del gioiello dell’Art Déco, oltre al fascino e alle contaminazioni artistiche orientali provenienti da Giappone, Cina e India.
Le coloratissime pietre preziose esprimevano il forte amore per il lusso di quegli anni e, allo stesso tempo, la bigiotteria riuscì a conquistare il gusto dell’epoca. La preziosità del gioiello non era infatti necessariamente determinata dal pregio dei materiali con cui era realizzato. Al contrario, erano l’idea e la creatività dell’artista a conferire valore al monile. Anche lo stile personale giocava un ruolo fondamentale: il gioiello assumeva un valore differente in base a chi lo indossava. Si affermarono in quel periodo i gioielli fantasia, tanto apprezzati dall’élite dell’epoca e amati da due grandi donne rivoluzionarie, Elsa Schiaparelli e Coco Chanel, che attraverso bijoux estrosi e originali conferivano una forte personalità ai loro abiti.
Tra le tipologie di gioielli più in voga all’epoca troviamo il bracelet lanière, un bracciale semirigido a nastro, solitamente indossato insieme ad un gran numero di altri bracciali dello stesso tipo; gli orecchini pendenti fino alle spalle che adornavano le donne con meravigliose cascate di luce; le collarette e i sautoirs. Questi ultimi erano collane con pendente (spesso un ciondolo a forma di nappa o una perla), tanto lunghe da superare la vita, che si diffusero assieme al charleston. I sautoirs erano perfetti per valorizzare le scollature sulla schiena, tanto amate negli abiti degli anni Venti, e potevano essere avvolti su sé stessi ed essere indossati anche come bracciali, o come cinture o per adornare i capelli.
Il progresso della moda e della gioielleria degli anni Venti esprimeva i profondi mutamenti culturali di quel tempo, in una società sempre più dinamica e moderna. E rappresentava una nuova femminilità: si rivolgeva a una donna forte, capace di lottare e far ascoltare la propria voce, sempre più vicina alla libertà e all’indipendenza. E forse è proprio per questo che lo stile Art Déco è ancora tanto amato e ricompare spesso nelle creazioni contemporanee. Perché ha aperto le porte al futuro. Ad una nuova era. Da vivere adesso.
Foto in evidenza: Collerette, 1929. Platino, smeraldi, diamanti. Collezione Van Cleef & Arpels. © Patrick Gries