I fattori determinanti della superiorità competitiva sono cambiati. Sono molti i fattori nuovi, derivati soprattutto dalle nuove tecnologie, con importanti ricadute sui prodotti e i componenti. Certo sono rimasti anche i fattori storici, ma hanno ridotto naturalmente le rispettive quote d’importanza.
Com’è noto, la fase recessiva dell’economia italiana è terminata, ma la ripresa della domanda è tutt’ora lenta e limitata. Di conseguenza, le aspettative di crescita nel medio-lungo termine non riescono a consolidarsi. In tale situazione, le imprese tendono a rinviare gli investimenti, dalla cui crescita dipende la solidità (e soprattutto la sostenibilità nel lungo periodo) della ripresa della competitività del settore.
Nel corso dei mutamenti delle tendenze, le variabili della congiuntura economica presentano – da sempre – tempi di comportamento differenziati. In particolare, i cali degli investimenti e dell’occupazione anticipano le fasi di rallentamento della domanda. Per contro, nelle fasi di rilancio economico l’attività d’investimento e le nuove assunzioni si realizzano in ritardo.
L’analisi del contesto delle economie interna e internazionale è problematica per il contemporaneo verificarsi di fenomeni che presentano andamenti diversi e/o contrastanti. Nel complesso, le rilevazioni del World Gold Council indicano per l’industria orafa mondiale un calo del -8,1% (in quantità) nel primo semestre 2015 (rispetto al corrispondente semestre 2014). Di conseguenza, anche le proiezioni delle esportazioni italiane di gioielleria sono condizionate dal verificarsi di questi fenomeni. Così, una spinta alla domanda aggregata di gioielli può arrivare dal ridimensionamento dei prezzi dell’oro e delle altre materie prime preziose. Le esportazioni italiane trovano quindi percorsi facilitati dall’accresciuta competitività di prezzo nei paesi extra euro generata dal ridimensionamento del cambio valutario dell’euro (temperata nel contempo dal rincaro delle materie prime importate) e dai contemporanei sviluppi delle economie statunitense e di alcuni paesi europei.
Per contro, non sono mancati segnali negativi per i consumi di gioielli (e di altri beni) generati dal rallentamento della crescita economica in alcune aree del vicino e lontano oriente, in Russia, nel Nord Africa e nel Sud America. Rallentamenti che hanno aggravato ulteriormente l’eccesso di capacità produttiva inutilizzata in giro per il mondo. Inoltre l’eccesso di capacità produttiva inutilizzata ha comportato un ridimensionamento della produttività delle imprese e quindi un ulteriore calo degli utili aziendali soprattutto nei segmenti delle produzione a basso valore aggiunto. Di qui un ulteriore arretramento della quota di mercato mondiale delle esportazioni italiane di gioielleria, scesa al 3,8% nel 2014 (era dell’11% nel 1998).
Nel corso dei primi 5 mesi 2015 le esportazioni italiane di gioielleria – rilevate dall’Istat in termini nominali – sono rimbalzate del +10,5% (rispetto al corrispondente periodo di un anno prima). Un aumento che però è dovuto, per una parte importante, al rincaro delle materie prime preziose denominate in euro. Infatti nello stesso periodo (scalando l’intervallo di tre mesi tra l’acquisizione dei contratti di vendita e le spedizioni dei gioielli) si stima che il prezzo in euro delle materie preziose sia cresciuto del +6/8%. Tant’è che le destinazioni delle vendite di gioielli in Eurolandia sono aumentate, mentre si sono ridotte nei paesi extra euro.
A differenza di quanto si è realizzato per le esportazioni complessive italiane, le imprese orafe hanno ridotto ulteriormente la diversificazione geografica delle vendite. Nei primi 5 mesi 2015 oltre due terzi del totale sono stai inviati a cinque paesi ( Svizzera, Emirati Arabi, Hong Kong+Cina, Francia e Stati Uniti) ; e oltre la metà ai primi tre soltanto.
Come si è accennato, la domanda interna di gioielleria, dopo alcuni parziali recuperi da attribuire a ricostituzione di scorte presso la catena distributiva, nei primi 5 mesi 2015 si è di nuovo arrestata per effetto, anche, del nuovo rialzo dei prezzi impliciti. Ciononostante, le importazioni di gioielleria hanno segnato un balzo in su del 44.8%, a una cifra che rappresenta il 41% delle esportazioni (era al 16% all’inizio del nuovo secolo).
Nel breve e medio periodo il contesto economico è interessato negativamente dalla esplosione (peraltro attesa) della bolla finanziaria in Cina nella seconda metà di agosto 2015. In realtà, il rallentamento dell’economia reale cinese è in atto da qualche tempo. Da quando la prolungata crescita dell’export non è riuscita – da sola – ad assicurare la continuità dello straordinario sviluppo aggregato (del +10%); in mancanza dell’apporto del mercato interno. Di qui un’accelerazione della speculazione finanziaria che ha colpito varie aree economiche, soprattutto quelle emergenti.
Le analisi delle tendenze economiche erano e sono condizionate dalla discontinuità degli andamenti di importanti variabili. Tra le altre, i cambi valutari, i tassi di sviluppo delle varie economie, i cali dei prezzi delle principali materie prime, in particolare dell’oro.
Per memoria. La sfrenata speculazione sui mercati internazionali dell’oro aveva portato il prezzo a quasi 2.000 dollari l’oncia sul finire del 2012 (dai 400 dollari del 2004). Successivamente, si è assistito a un’inversione di tendenza per una serie di ragioni. Tra le altre, l’inaffidabilità delle statistiche delle riserve di oro presso le banche centrali di alcuni paesi (prevalentemente asiatici), il crollo dei corsi delle materie prime industriali, il calo della domanda di oro da parte dell’industria mondiale della gioielleria, la persistente deflazione nei principali paesi di consumo, la rivalutazione del dollaro, le prospettive di una crescita dei tassi di interesse (negli Stati Uniti e altrove). A metà 2015 il prezzo internazionale dell’oro (1.150 dollari) si era quasi dimezzato rispetto al picco di tre anni prima. Un livello che comunque rimane elevato: due volte e mezzo superiore a quello d’inizio secolo.
(Franco Marchesini)