Secondo Thomson Reuters GFMS, ogni anno vengono recuperati in Italia 3,5 miliardi di euro di oggetti di oreficeria usata (uguale a 120 tonnellate di oro). Un fenomeno marginale, l’acquisto di oreficeria usata proveniente da privati e utilizzata per lavorazioni industriali o da rivendere al consumatore, è diventato in questi ultimi anni un fenomeno rilevante, e ha reso necessario l’intervento dell’Amministrazione finanziaria a causa della difformità di interpretazione del regime fiscale da applicare. Il problema è stato sollevato da Confindustria Federorafi, con il supporto di Federpreziosi Confcommercio, attraverso un’istanza giuridica inviata all’Agenzia delle Entrate. L’Agenzia ha risposto con una Risoluzione innovativa che qui riportiamo: “Secondo la definitiva interpretazione infatti il regime dell’inversione contabile si applica in tutti i casi in cui il bene usato (in oro o argento) sia ceduto ad un operatore che effettua su di esso l’attività industriale di trasformazione e affinazione del metallo prezioso e lo lavora alla stregua di prodotto industriale e questo a prescindere dalle condizioni in cui si trova il bene (sia esso integro ovvero rotto, riparabile o meno), in sintesi ciò che rileva è la destinazione del bene stesso ad un processo industriale di lavorazione. Altro requisito al fine dell’applicazione del regime dell’inversione contabile è che il cessionario sia un’azienda che effettui esclusivamente l’attività di lavorazione industriale dei metalli preziosi, ovvero ogniqualvolta il cessionario sia un’azienda di fabbricazione titolare del marchio di identificazione ai sensi della legge sui metalli preziosi (D.lgs. 251/1999). Negli altri casi si applica il regime del margine o quello ordinario.”.
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