Come accade per altri settori di eccellenza del Made in Italy, i produttori di gioielleria continuano a mantenere l’indiscussa leadership della qualità nel mondo. Un primato dovuto – com’è noto – all’attività dei maestri artigiani del disegno e dell’attività di supporto alle imprese maggiori con la fornitura di componenti. Un supporto che si estende anche alla distribuzione dei gioielli italiani su mercati difficili e lontani, con gli interventi anche delle Associazioni e delle Fiere. Dagli anni sessanta-settanta gli orafi italiani sono i pionieri della gioielleria di qualità. Pionieri che hanno rischiato e aperto nuove rotte. Il boom del settore della gioielleria “era arrivato all’improvviso”; alimentato in primo luogo dalle liberalizzazioni del mercato interno degli oggetti di materie prime preziose e degli scambi commerciali con l’estero, nonché dal decollo dell’economia generale. Un decollo prolungato, ma privo – o quasi – di una programmazione di medio-lungo termine degli investimenti, della produttività e quindi della competitività. Così l’industria orafa alla fine del secolo scorso – quando si è iniziata la fase di rallentamento del settore (quindi prima della tragedia dell’11 settembre 2001 e della crisi economica mondiale iniziata nel 2008) – si è trovata con una struttura dimensionale inadeguata nel fronteggiare le sfide della globalizzazione (eccesso di capacità produttiva, limitate dimensioni dell’apparato produttivo). Oggi alle prese con una produzione complessiva dimezzata rispetto all’inizio del nuovo millennio, i pionieri rimasti sul mercato hanno ritrovato forza e coraggio per affrontare la nuova domanda attraverso nuovi disegni, tecnologie, formati, funzioni ed estetica dei gioielli sfidando e anticipando la concorrenza internazionale. Peraltro, nel corso del 2014 l’analisi congiunturale ha presentato ampie e ripetute discontinuità. Il pre consuntivo ha risentito del “rischio paese” che ha condizionato gli scambi commerciali con paesi e aree importanti. Tra gli esempi più significativi, si ricordano le crisi in Russia e Ucraina; l’instabilità politico economica in Argentina, Venezuela e nella fascia nord africana – forse con l’eccezione della Tunisia -; mentre la Libia è in preda al caos. Dalla sponda del lontano oriente provengono segnali non chiari: dal temuto rallentamento del tasso di crescita della Cina alla politica espansiva – se ci sarà – del Giappone. Comunque sul finire del 2014 il settore orafo è stato parzialmente rianimato da una sia pure limitata ricostituzione di scorte. Nel complesso dei primi dieci mesi 2014 le esportazioni in termini reali – al netto del calo dei prezzi delle materie prime preziose – hanno recuperato parte del terreno perduto nel precedente decennio: +7% circa anno su anno. In termini nominali sono rimaste stazionarie sui livelli di un anno prima. Una stazionarietà che risente anche di un effetto statistico distorsivo: un anno prima (tra i primi dieci mesi 2012 e 2013) si era registrata una crescita del +8%. Nello stesso periodo (primi dieci mesi 2014) anche il fatturato sul mercato interno presenta un limitato aumento +1,4%. Per effetto dei ricordati andamenti l’indice della produzione è risalito di un +16,5%. Com’è stato ricordato in precedenti note, i recuperi registrati nel 2014 sono da imputare al concomitante verificarsi di vari fattori che hanno incentivato la domanda aggregata. Tra gli altri, un sia pure limitato alleggerimento delle imposte alle imprese, l’allargamento del credito d’imposta alle famiglie (con nuovi nati), la caduta del prezzo del petrolio (che comporta minori esborsi della spesa quotidiana), la riduzione dei tassi di interesse e nel contempo una crescita dell’erogazione del credito da parte delle banche. Inoltre i prolungati ridimensionamenti dei prezzi delle materie prime preziose e del valore dell’euro hanno contribuito ad allargare la base della piramide dei potenziali consumi di gioielli, grazie all’accresciuta competitività del gioiello italiano sia nei confronti di altri prodotti di consumo, che sui “mercati del dollaro” (Stati Uniti e altri; nonché del franco svizzero nel corso del 2015). Un allargamento che trova una parziale conferma nel balzo in su (anno su anno) delle importazioni: +19% nel mese di ottobre; +11,4% nei primi dieci mesi, un aumento che ha portato l’import di gioielleria a una cifra (1,5 miliardi) che è pari a un terzo dell’export. Tuttavia la tendenza alla riduzione dei prezzi potrebbe indurre alcuni consumatori a rinviare le decisioni di acquisto in vista di prezzi ancora più bassi. Potrebbe infatti presentarsi il così detto effetto “ J “, che si ha quando alla realizzazione di un dato evento segue una reazione opposta a quella attesa. Ciononostante le previsioni delle vendite nel 2015 del made in Italy di qualità realizzate dalla Fondazione Altagamma e da Bernstein Research sono positive. In particolare per la gioielleria è indicato un aumento del +8% rispetto al 2014. Naturalmente ai documentati fattori positivi di recupero si contrappongono altri di segno opposto che frenano lo sviluppo. Sono lamentati da decenni (anche dalle stesse Associazioni di categoria) la limitata dimensione media dell’apparato produttivo (che ha comportato e comporta l’obbligo dell’intercessione dei buyer), l’arretratezza e le approssimazioni dell’organizzazione gestionale delle imprese, la mancanza di studi dei mercati esteri: la “lontananza” dai mercati genera, com’è noto, perdita di contatto con i consumatori. Tuttavia, è convinzione di non pochi operatori che questi limiti siano superati dal fatto che il gioiello italiano è un opera di nicchia, quasi inaccessibile. E’ senz’altro vero. Ma occorre un’attenzione non formale perché la nicchia non si trasformi in un loculo. Con buona pace degli scaramantici che già hanno messo in atto le opportune – spesso inconfessabili – contromisure.
(Franco Marchesini)