In dieci anni Maman et Sophie è passata da una produzione “casalinga” fatta di pochi articoli al giorno alla consolidata presenza in 250 gioiellerie, con un fatturato in crescita costante, grandi soddisfazioni, tra cui una collezione realizzata l’anno scorso per Tod’s, e una schiera di clienti fedeli e appassionate che seguono sui social ogni lancio e iniziativa dell’azienda, la quale da parte sua ha saputo tener vivo questo dialogo anche durante gli ultimi, difficili mesi. All’origine di questo successo è l’imprenditrice fiorentina Elisabetta Carletti, che appunto dieci anni fa ha abbandonato le certezze della carriera di avvocato per fare il proprio ingresso nel mondo orafo – di cui a priori non sapeva nulla – e che spiega di aver preso questa decisione semplicemente perché non riusciva a trovare i gioielli che aveva in mente lei. «È andata proprio così. Mi sono laureata a pieni voti in giurisprudenza, ho superato l’esame di stato e ho cominciato a lavorare in un grande studio legale. Insomma, un percorso lineare alle spalle e anche in prospettiva. Poi è nata la mia bambina, attesissima, e ho deciso di concedermi un anno sabbatico per occuparmi della piccola e godermi tutta la gioia della sua nascita. È stato allora che mi è venuto un gran desiderio di indossare piccoli gioielli, di portare sempre con me e condividere i simboli di quell’amore e di quella felicità che mi sentivo dentro. Avevo le idee molto chiare, avevo in mente una collana di stelle in cui non doveva vedersi la catenina, un cielo addosso, piccole luci! Il mercato non offriva questo tipo di gioielli, così li ho realizzati io. Ho trovato in internet il modello di stelle che stavo cercando e ho contattato l’azienda produttrice: pensi che è stato il titolare, Italo, a insegnarmi a usare le pinze. Mi disse: “Hai una buona mano. Ne ho visti tanti cominciare così… Qualcuno è diventato famoso”. Mi ha portato fortuna».
Ma davvero non aveva nessuna confidenza con la gioielleria?
«Davvero! Ho sempre preferito gli orologi, gli unici gioielli che mi piacevano erano i charm vittoriani amati da mia mamma. Però devo dire che sono sempre stata una persona molto creativa. Al tempo stesso, per me la creatività significa anche precisione e rigore. I miei collaboratori dicono che ho “l’occhiometro” incorporato, che riesco a vedere disarmonie invisibili agli altri e a correggerle per istinto. In questo sono maniacale: correggo e sistemo anche particolari millimetrici finché un pezzo non raggiunge l’armonia. Ho capito ora perchè ho sempre avuto il pallino della geometria!»
Gli inizi non saranno stati facili.
«All’inizio creavo gioielli solo per me, combinando elementi nuovi con i charm e i gioielli che possedevo. Una catenina con le stelle, una col nome della mia bambina, Elena Sofia… Erano gioielli piccoli, leggeri, che parlavano di un sentimento intimo, personale, non gridato: più che un nome, da lontano quelle letterine erano e volevano essere solo luce. Sono piaciuti subito a un giro sempre più largo di amiche e conoscenti, poi la svolta con una richiesta di pezzi da parte di Flow Store, un bellissimo negozio di abbigliamento di Firenze e a seguire altri negozi di ricerca e di tendenza. Quando le richieste sono giunte dalle gioiellerie, ho capito che era arrivato il momento di concentrarmi su questo canale di vendita e di dedicarmi a tempo pieno all’avventura di Maman et Sophie. Il primo a credere in me è stato mio marito: mi ha sempre riconosciuto la dote di essere costantemente un passo avanti, di saper anticipare le tendenze e nel 2012 ha lasciato l’azienda di famiglia per dare il suo contributo a Maman et Sophie. Purtroppo è mancato quest’inverno, lasciando in chi lo conosceva un vuoto immenso».
Come nascono le collezioni Maman et Sophie?
«Io sono sempre stata innamorata della vita, della bellezza, che è dappertutto ed è una fonte inesauribile di ispirazione. Ogni collezione è una storia a sé. La linea Animali, per esempio, viene dal mio amore per la natura e dal mio profondo rispetto per l’ambiente ed è frutto poi di una lunghissima ricerca iconografica. Damiano dei Maneskin mi ha invece ispirato per il cerotto: l’ho visto portarne due sul petto, formavano una X: mi ha folgorato l’idea di protezione implicita nel cerotto unita al simbolo potente della croce, che col suo sviluppo orizzontale e verticale esplicita il collegamento tra la terra e il cielo, mondo terreno e spirituale. Le Conchiglie vogliono essere anch’esse un inno alla vita, col loro guscio duro che può racchiudere una perla. Sembra una magia ma è proprio così: dietro ogni ostacolo si nasconde un’opportunità, dietro al buio, la luce. Dietro a ogni nostra collezione c’è una storia, un pensiero».
State lavorando a nuovi progetti?
«Se mi guardo indietro mi rendo conto quanto sia lungo il cammino percorso… L’anno scorso abbiamo anche realizzato la nostra prima linea in oro 18 carati. Adesso stiamo lavorando a una bellissima novità per l’inverno, è un progetto in cui credo molto, che vuole coniugare leggerezza, fil rouge della nostra storia, e riflessione, consapevolezza. Perché la vita va vissuta con leggerezza ma… consapevoli che le cose senza un’anima sono destinate a perire. Io mi faccio guidare dalla ricerca della verità e cosi cerco di contribuire alla bellezza e all’armonia di quanto ci sta attorno».
La soddisfazione più grande?
«Il pensiero di regalare agli altri un po’ di bellezza ma anche condividere un’esperienza di vita che mi porta lontano. Amore per il prossimo, amore per la vita e le cose belle. Tutto questo raggiunge i nostri meravigliosi clienti. Loro sentono! E poi il sostegno dei nostri rivenditori e l’affetto delle nostre clienti, che ci sono sempre stati vicini, anche nei momenti più difficili, e che ci riconoscono l’unicità, la voglia di non uniformarci mai: nonostante tutte le imitazioni che si vedono in giro!»