di Laura Inghirami
Dalle magiche atmosfere delle colline toscane, Maria Sole Ferragamo ripercorre la nascita della sua passione per il gioiello che l’ha portata a creare SO-LE Studio. «Sono nel giardino di casa, immersa nella natura della campagna fiorentina, è qui che sto progettando la mia prossima creazione. Il processo creativo è sempre stato qualcosa di magico per me, qualcosa che mi ha sempre dato e che mi dà una gioia immensa. Si desidera e si crea con il cuore. È questo il legame stretto che ho con i miei gioielli».
Come nasce la tua passione per il mondo del gioiello?
«Sono nata fortunata. Credo che ognuno di noi nasca con un’inclinazione, ma a volte la vita ti scorre davanti senza scoprirla. Io l’ho scoperta all’alba dei miei nove anni, quando mia madre mi regalò una scatola con al suo interno delle perline, un rocchetto di filo di rame e delle pinzette. Da quel momento ho iniziato a creare i miei primi gioielli e non mi sono mai fermata. Ricordo i sabati sera più belli e le notti passate a lavorare alla luce della scrivania della mia camera. Sicuramente ha contribuito ad accrescere la mia passione per il mondo dell’arte il fatto di essere cresciuta a Firenze in un ambiente creativo, ricco di cultura e di stimoli. Ogni estate trascorrevo almeno due settimane a imparare il mestiere dei maestri artigiani della Salvatore Ferragamo. È anche grazie a quelle estati che oggi la mia passione è alimentata dall’idea che, attraverso la manipolazione del materiale, la creazione finale possa essere un veicolo di amore».
Qual è stato il tuo percorso formativo?
«Mi sono laureata in Architettura al Politecnico di Milano e ho deciso di proseguire i miei studi a Londra. È durante il Master in Design del Gioiello alla Central Saint Martins School che ho iniziato a riutilizzare pelli di altissima qualità, rimaste inutilizzate, trasformandole in gioielli e dando loro una nuova vita».
Cosa vuoi trasmettere attraverso la tua arte?
«Il mio desiderio è riportare alla luce la bellezza nascosta delle cose abbandonate. C’è una bellezza silenziosa non solo nelle pelli ma in tutti i materiali che durante i processi manifatturieri vengono scartati, ed è quella bellezza che io voglio condividere. Mi piace trasmettere gioia e stupore e vedere queste emozioni nello sguardo di chi osserva e indossa le mie creazioni. A volte chi le indossa per la prima volta si immagina siano fatte con altri materiali diversi dalla pelle e resta stupito dalla leggerezza e la morbidezza delle loro forme. All’emozione si aggiunge anche il desiderio di trasmettere dei valori storici forti ma reinterpretati in chiave moderna. Sono sempre stata affascinata infatti dagli indumenti e dai gioielli del passato. Penso per esempio ai bustini elisabettiani: prendo la loro forza, privandola di quel senso di costrizione che li ha sempre contraddistinti, e la trasformo in confort. Credo infatti che il gioiello abbia il potere di renderci liberi, sia attraverso l’espressione della nostra personalità che attraverso la sua vestibilità».
Esiste un gioiello al quale sei particolarmente affezionata?
«Impossibile scegliere, come quando si chiede ad una madre il figlio prediletto. Tuttavia, amo molto gli orecchini, tanto leggeri da dimenticare di averli addosso, che contribuiscono fortemente a caratterizzare un outfit. Tirabaci sono i primi orecchini che ho ideato e continuo ancora oggi a crearli. Infatti, nessuna mia creazione prende vita in base ai trend del momento. Cerco di ideare dei pezzi che possano rimanere di moda anche quando questa cambia, dando longevità ai modelli, variando invece spesso colori e finiture dei pellami, che dipendono da ciò che trovo a disposizione».
Quali sono le caratteristiche peculiari dei tuoi gioielli?
«Ogni gioiello che creo è espressione di un processo creativo molto intenso, fatto di innumerevoli iterazioni. Un qualcosa di architettonicamente e accuratamente progettato, ma al tempo stesso vivo e organico. Realizzo personalmente il primo prototipo che viene poi riprodotto in serie limitata dai migliori maestri artigiani del territorio toscano, recuperando e trasformando pellami di alta qualità rimasti inutilizzati. Sono tutti oggetti di impatto, in grado di caratterizzare un look, ma in modo delicato ed elegante, visivamente ricco ma senza orpelli. Nella maggior parte dei casi riutilizzo la pelle così com’è; in altri casi vi faccio delle applicazioni, quali polvere di alluminio, foglia d’oro o lamine particolari. Faccio moltissima ricerca per conferire al materiale delle caratteristiche che in natura non ha, ad esempio rigidità o elasticità, per creare quell’effetto sorpresa e quello stupore nello sguardo di chi ne fa esperienza. Molti dei miei gioielli hanno diverse possibilità di utilizzo, una versatilità che incoraggia un rapporto personale con chi li indossa».
C’è anche una forte componente sostenibile nei tuoi gioielli, come sei arrivata a perpetuare la scelta della sostenibilità?
«Non è mai stata una questione di scelta, ma di responsabilità. Non vedo la sostenibilità come un traguardo, non lo è mai stato per me. Ho sempre sentito la sostenibilità come un commitment, un impegno costante che consiste nel porsi sempre nuove domande. Significa anche fare scelte consapevoli. Ed è questo che faccio attraverso il recupero delle pelli che vengono scartate – ovvero l’utilizzo di risorse già esistenti – e anche attraverso la collaborazione con le eccellenze del territorio toscano».
Come immagini SO-LE Studio in futuro?
«Vorrei che SO-LE Studio fosse riconosciuto a livello internazionale per la creazione di innovazione e bellezza. Che collaborasse, come già sta facendo, con il mondo dell’arte, dei musei e della moda. Vorrei riuscire a offrire una creatività sempre nuova e continuare a realizzare oggetti che seguono un’altissima qualità a discapito della quantità».