di Laura Inghirami
30 agosto 2021
In un momento di instabilità politica e condizioni difficili, l’Inghilterra di inizio Ottocento vide salire al trono l’allora diciottenne Vittoria. Con la sua incoronazione nel 1837, la regina Vittoria – che regnerà per ben sessantaquattro anni fino alla sua morte nel 1901 – diede inizio non solo a un periodo di prosperità per il proprio regno, ma anche alla cosiddetta era vittoriana.
Proprio durante questo florido periodo in Inghilterra fiorì un’arte orafa del tutto eccezionale che vide il gioiello diventare sempre più un simbolo dei legami affettivi. Se nel corso della storia il gioiello sentimentale – caratterizzato da un immaginario simbolico composto da figure come mani che si tengono strette, colombe, cuori, cupidi e altre immagini idilliache – aveva sempre ricoperto un ruolo centrale, diventando custodia di messaggi destinati alla persona amata e simbolo di profondo affetto, fu durante l’era vittoriana che esso raggiunse l’apice della sua diffusione.
In particolare dopo il 1861, anno in cui morirono la madre (la principessa Vittoria di Sassonia-Coburgo-Saalfeld) e il marito (Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha) della regina Vittoria, tra i tanti sentimenti celebrati dal gioiello si aggiunse anche quello del lutto. Da quel momento, infatti, la regina rimase in lutto per tutta la vita, influenzando notevolmente la moda e lo stile dell’epoca: il profondo legame di fedeltà con il principe consorte era infatti ammirato dal popolo, che fu fortemente colpito da questo lutto. Lo stile mourning si affermò dunque con forza durante l’età vittoriana, nonostante le sue origini fossero più antiche.
Nell’Inghilterra vittoriana il gioiello sentimentale fu declinato in forme e materiali che non ci aspetteremmo affatto. Chi, al giorno d’oggi, considererebbe un gesto d’amore indossare i capelli di un caro defunto? Eppure questo ornamento alquanto macabro divenne di grande moda all’epoca. I capelli non venivano solamente celati nei piccoli scomparti nascosti dei gioielli da lutto, ma anche sfoggiati o addirittura utilizzati come intreccio decorativo per bracciali, collane, orecchini e spille. Il desiderio di indossare un ricordo tangibile della persona cara defunta, in questo caso i capelli, era dettato dalla necessità di sentirla fisicamente vicina dopo il doloroso distacco. All’epoca la fotografia era ancora poco diffusa e il gioiello da lutto rappresentava di conseguenza l’unico modo per annullare le distanze e ricordare l’immagine della persona amata, sia per gli uomini che per le donne.
Anche se la sobrietà era la regola di quel periodo, stravaganti e a tratti inquietanti gioielli si diffusero sempre più: gli orafi si sbizzarrivano con immagini di vermi, urne e teschi, spesso accompagnati dalla scritta “Memento Mori” (“ricordati che devi morire”). Il colore predominante era il nero e i materiali, come il giaietto, erano solitamente piuttosto poveri, per lasciare massima espressione al significato immateriale dell’oggetto. In alcuni casi furono utilizzati anche i denti dei defunti per la realizzazione di macabri gioielli: l’anello col dente della persona perduta era quanto di più romantico si potesse pensare. Ciò che per noi oggi sarebbe fonte di ribrezzo, al tempo aveva un fortissimo valore affettivo ed emozionale. In questo periodo erano inoltre ricorrenti i gioielli, in particolare anelli, in smalto nero dal gusto un po’ tetro, che riportavano il nome del defunto, o le sue iniziali, o frasi d’amore a lui dedicate. Erano molto diffuse anche le miniature dei deceduti o la riproduzione di alcuni dei loro tratti distintivi. Talvolta, soprattutto sulle spille, veniva infatti rappresentato solo l’occhio, simbolo di vigilanza e protezione sulla vita dei cari.
Durante l’era vittoriana, il gioiello ha acquisito delle specificità e dei valori inconfondibili che sono stati perduti col tempo: per noi oggi sarebbe impensabile indossare tali ornamenti. Tuttavia, il tema del macabro, l’immaginario dei teschi, del “Memento Mori”, come esortazione a non dimenticare la fugacità della vita, dell’occhio che vigila sul presente e sul futuro, e persino dei denti, è ancora vivo nella gioielleria contemporanea. Volto a stupire e scandalizzare, in declinazioni sempre più fantasiose, il tema del lugubre ha stravolto il suo riferimento, oggi non più quello del lutto. Rimane tuttavia affascinante lasciarsi ispirare dai limiti più estremi che la simbologia del gioiello ha raggiunto nel corso della storia. Una storia che ha accompagnato l’umanità fin dal principio e che non smetterà mai di meravigliarci.
Foto in evidenza: La Regina Vittoria nel giorno della sua incoronazione, George Hayter, 1838