Dalla seconda metà del 2013 l’industria della gioielleria italiana – com’è noto – ha recuperato parte del terreno perduto nel passato (e non solo nel più recente periodo di crisi) nonostante un persistente contesto economico-sociale non favorevole e talvolta ostile. In particolare, il contesto interno che nel periodo 2000-2013 aveva visto diminuire la produzione manifatturiera complessiva del -25% a fronte di una crescita del +36% di quella mondiale. Sul finire del mese scorso sono state pubblicate, in stretta successione temporale, le analisi economiche di importanti centri di ricerca economica. Nell’annuario dell’Istat (23 maggio) ci si sofferma – tra l’altro – sui livelli minimi dell’occupazione in Italia e dei redditi medi reali dei lavoratori dipendenti nell’ultimo decennio (da quando si sono iniziate le specifiche rilevazioni statistiche). Sul fronte delle imprese industriali (e non solo industriali), la Confindustria (29 maggio) lamenta l’arretramento complessivo della produttività. Le cause sono note: eccesso di frazionamento degli apparati produttivi, carenze di investimenti nella ricerca e nell’innovazione di processo e di prodotto “ad alto valore aggiunto, che sono giacimenti di crescita inespressa”. Fortunatamente, ricorda la Confindustria, nuovi segmenti si sono sviluppati, altri si sono consolidati e così hanno conquistato importanti risultati sui mercati del mondo. Più articolata l’analisi della Banca d’Italia (30 maggio). La lunga recessione italiana si è arrestata nell’ultima parte dello scorso anno grazie alla domanda estera. Ma una vera ripresa stenta ad avviarsi. Il graduale miglioramento delle aspettative tarda a tradursi in un solido recupero dell’attività economica. In passato recessioni anche profonde si sono associate ad ampie ristrutturazioni del sistema produttivo che hanno dato luogo all’introduzione di nuove tecnologie e nuovi modelli organizzativi. Tecnologie e modelli che possono aumentare la produttività, l’occupazione, la domanda interna. Il lascito della recessione italiana è pesante anche per la presenza di altri fattori che hanno ritardato il recupero. Tra gli altri: 1) le difficili condizioni del credito, soprattutto per le piccole e medie imprese; 2) la limitazione della concorrenza indotta dalla corruzione, criminalità, evasione fiscale; 3) l’inflazione inferiore ai livelli fisiologici è un fattore di dissuasione per gli acquisti, soprattutto per il radicamento nelle attese di medio periodo; 4) l’esasperazione dell’apprezzamento dell’euro nei confronti del dollaro ha facilitato la pressione competitiva dei prodotti provenienti da paesi extra UE. Comunque sul finire del 2013 sono emersi segnali positivi. Prescindendo dalla battuta d’arresto del recupero del PIL nel primo trimestre dell’anno, il trend di recupero è previsto per l’intero 2014 intorno a +0,6/0,7%: un aumento ancora insufficiente per generare uno sviluppo significativo dell’occupazione complessiva. Come si è ricordato in apertura, le occasioni positive fornite dal contesto esterno sono state raccolte a piene mani dagli esportatori italiani di gioielleria, già a partire dalla seconda metà del 2013. Tuttavia l’apporto delle esportazioni non è riuscito a impedire la massiccia erosione della base produttiva. Un’erosione che ASI – in precedenti note – ha documentato utilizzando i dati strutturali dei censimenti ISTAT (2001-2011) e le stime per il successivo biennio 2012-2013. Un quadro caratterizzato da contrazioni diffuse in tutti i distretti orafi. Nel complesso, in 13 anni, oltre 4.000 imprese hanno abbandonato il mercato (-40%, a circa 6.000 unità); dimezzata la manodopera (a circa 4.300 addetti). Nel primo trimestre 2014 le vendite all’estero di gioielleria in valore sono cresciute del +11,1 % rispetto al corrispondente trimestre di un anno prima. Più consistente è la crescita in termini reali, +18% circa, al netto della riduzione dei prezzi alla produzione indotta dallo sboom delle materie prime preziose. Rispetto alla punta di fine settembre 2011 i corsi internazionali dell’oro si sono ridotti di oltre un terzo. E il trend al ribasso è ancora in atto. A differenza di altri comparti del lusso italiano, i paesi acquirenti più ricettivi si sono confermati gli Emirati Arabi (+40,5%) e la Svizzera (nonostante una lieve rettifica in valore, -2,6%). Una nota a parte per le esportazioni nel primo trimestre 2014 nel Celeste Impero. La Cina ha ridotto a un decimo gli acquisti di gioielleria italiana. Si può pensare che la Cina abbia dirottato, nello stesso trimestre, su Hong Kong gli altri nove decimi delle importazioni. Hong Kong infatti ha più che raddoppiato gli acquisti in Italia, salendo così al terzo posto nella graduatoria dei principali paesi clienti, dopo gli Emirati Arabi e la Svizzera, prima degli Stati Uniti. E questa nuova graduatoria la dice lunga. I primi tre importatori di gioielleria italiana sono paesi di smistamento. In altre parole – per oltre la metà del totale – gli esportatori italiani non conoscono con esattezza la destinazione finale dei gioielli (si supera il 60% se si aggiungono altri paesi di smistamento). Nel primo trimestre 2014 è ricomparsa l’India tra i paesi acquirenti di gioielleria italiana (ma l’incidenza sul totale è ancora limitata all’1%) Ancora poco dinamici (e in certi casi in ulteriore flessione) gli acquisti dei paesi dell’Unione Europea. Acquisti che comunque coprono un quinto delle esportazioni italiane. Dal lato dell’offerta, in forte recupero le vendite all’estero nel primo trimestre 2014 di Valenza (+54,9%), di Arezzo (+20,3%) e di Milano (+10,7%). Per contro, si sono ridimensionate – sempre in valore – le vendite di Vicenza (-4,7%), Roma (-29,2%), Napoli (-30,5%). I contributi delle filiere di Arezzo (con il 35,2% del totale), di Vicenza (con il 22,6%) e di Valenza (18,3%) rimangono in testa alla graduatoria dei principali distretti esportatori. Seguono: Milano (11%) e – con quote più contenute – Roma e Napoli con i coralli di Torre del Greco. In particolare, oltre tre quarti delle vendite all’estero proviene dai tre distretti principali e più di un terzo da uno soltanto. Nel nuovo contesto competitivo e con l’affermarsi impetuoso delle nuove tecnologie, anche i distretti – così come le singole aziende – necessitano di un ampliamento dell’offerta di servizi all’apparato produttivo e di una riorganizzazione gestionale per facilitare il sorgere e lo sviluppo di reti di imprese in grado di allargare e consolidare l’intera filiera orafa italiana. Il trend positivo dell’industria orafa italiana rientra nel nuovo ciclo di espansione del settore orafo nel mondo. Secondo le rilevazioni del WGC, nel primo trimestre 2014 la domanda mondiale di gioielleria ha superato i livelli pre crisi. Peraltro le occasioni fornite dal favorevole contesto esterno – ammonisce la Banca d’Italia – non vanno perdute, vanno garantite le condizioni perché i capitali oggi disponibili si trasformino in investimenti produttivi e duraturi. Non solo dall’interno, ma anche dall’estero, continuando così il trend crescente di acquisizioni dall’estero di imprese del Made in Italy che ha caratterizzato il 2013 e la prima parte dell’anno in corso. Notizie moderatamente positive anche per il credito bancario alle imprese. Dopo un prolungato periodo negativo, da metà dell’anno in corso sono emersi segnali di possibile ripresa sia dall’interno (con le ispezioni – seppur tardive – nell’attività delle banche italiane), sia – e soprattutto – dall’Unione Europea con un ulteriore aumento della liquidità e un maggior controllo della destinazione dei fondi alle imprese. (A cura di Franco Marchesini)