di Laura Inghirami
30 luglio 2021
Il gioiello contemporaneo, la cui esuberanza è diventata sempre più un elemento stilistico distintivo, affonda le sue radici in una tradizione estremamente affascinante: quella degli etruschi. Per esplorare queste origini occorre tornare indietro nel tempo, a circa tre millenni fa.

La civiltà etrusca, che raggiunse la sua massima espansione tra il VII e il VI sec. a.C. (arrivando a controllare gran parte dell’Italia centro-occidentale), si distinse per la libertà dei costumi e per lo sfrenato amore per il lusso e lo sfarzo. La dedizione ai piaceri della vita, tra pomposi banchetti, giochi e spettacoli, fu così spiccata che, secondo il filosofo Posidonio, portò addirittura alla rovina un popolo in origine forte e battagliero. Tale fastosità si tradusse anche nella fioritura di un’arte orafa sontuosa, volta a esibire e ostentare la ricchezza dell’aristocrazia dell’epoca.
Soprattutto a partire dall’VIII sec. a.C., i principi etruschi si circondarono sempre più di gioielli con l’intento di esprimere il proprio status tramite ricchi ornamenti personali. Veniva utilizzato in particolare l’oro, la cui lavorazione in Etruria ebbe inizio già intorno al IX sec. a.C., per la realizzazione di fibule o decorazioni per le vesti.
Le donne, libere ed emancipate, avevano un ruolo eminente nella società e amavano valorizzarsi indossando ricchi gioielli, tra cui bracciali, orecchini e fibule. Queste ultime rappresentavano probabilmente l’ornamento più diffuso nell’età del ferro. Inizialmente non erano realizzate completamente in oro ma in bronzo, impreziosito ad esempio da avvolgimenti di filo aureo. Tipico era l’arco a sanguisuga, così chiamato per la sua forma caratteristica. Le donne indossavano poi anche eleganti fermacapelli a forma di spirale e collane spesso decorate con perle e pendenti d’ambra o pasta vitrea.

La fastosità dell’arte orafa dell’epoca caratterizzò in particolare il cosiddetto periodo “Orientalizzante”, tra la fine del VIII sec. a.C. e gli inizi del VI sec. a.C. In quel momento storico la cultura etrusca fu influenzata da numerosi contatti con le popolazioni orientali, e il riscontro si ebbe anche nell’oreficeria. Gli orafi stranieri introdussero in Etruria alcune delle più raffinate tecniche di lavorazione dei metalli: la granulazione, per esempio, consiste nella saldatura di piccole sfere o grani, preferibilmente in oro, a una base in lamina secondo un disegno prescelto; la filigrana, invece, prevede la curvatura o l’intreccio di sottili filamenti d’oro o argento, uniti con saldature nei punti di contatto. Furono poi gli etruschi a portare tali lavorazioni all’apice della perfezione, decorando con grande maestria spilloni, fermatrecce, orecchini, collane, fibule e bracciali. Fusione a cera persa, sbalzo e tutto tondo sono solo alcune delle numerose tecniche, oltre alle già citate, di cui gli orafi etruschi divennero maestri nel corso dei secoli.
Nello stesso periodo, sempre grazie all’influenza orientale, si diffusero nel gioiello rappresentazioni sempre più creative e bizzarre di figure antropomorfe e animali fantastici come grifi, tori e chimere. In particolare, le fibule raffiguravano spesso animali quali cavalli, delfini, anatre, oltre che leoni alati, sfingi e altre creature immaginarie.

Anche gli anelli, soprattutto in oro o in argento dorato, avevano un ruolo centrale nella gioielleria etrusca, sempre con protagoniste le figure fantastiche. Intorno alla metà del VI secolo a.C., durante il periodo denominato Arcaismo, fiorì una nuova tipologia di anello, con gemma a scarabeo girevole: la pietra, frequentemente cornalina oppure onice, veniva intagliata per rappresentare figure derivanti principalmente dalla mitologia greca. Da quel momento l’influenza degli artisti greci fu sempre più rilevante per l’oreficeria etrusca.
I gioielli preferiti in assoluto dalle donne dell’epoca erano, però, gli orecchini. Amatissima intorno al VI sec. a.C. era la tipologia discoidale a borchia, derivante dalla moda greco-orientale. Le dimensioni di questi appariscenti gioielli erano notevoli, al punto da coprire completamente l’orecchio: basti pensare che il diametro di un orecchino poteva superare i 7 cm. Assai diffusi erano anche gli orecchini “a bauletto”, così chiamati per la forma conferita loro dalla lamina rettangolare ricurva, che veniva chiusa con un coperchietto circolare.

Nel IV secolo a.C., in età classica, fiorì invece l’uso degli orecchini “a grappolo”, certamente uno dei gioielli più indossati all’epoca, insieme a collane, corone, bulle discoidali e pettorali di grandi dimensioni, di destinazione sia maschile che femminile, sulla cui superficie venivano raffigurate complesse scene mitologiche.
I gioielli come simboli di status accompagnavano gli etruschi anche nella vita oltre la morte. Infatti, per la civiltà etrusca, il concetto di aldilà rappresentava uno degli aspetti fondamentali della religione: si pensava che il defunto continuasse a vivere nella tomba e veniva dunque sepolto con le proprie ricchezze, oltre che con cibo e bevande. Proprio per questo motivo molti dei reperti di oreficeria del periodo, così come tutte le manifestazioni artistiche più importanti della cultura etrusca, sono legate alla sepoltura.
Il viaggio nel tempo degli etruschi non può che far riflettere sull’incredibile affinità di questa civiltà con la cultura contemporanea. E se tanti aspetti di questo popolo sono considerati ancora oggi enigmatici e oscuri, ciò che è certo è che raggiunse un livello straordinario di maestria orafa e creatività, in grado di influenzare la nostra concezione di eleganza.

Immagine in apertura: fibula a sanguisuga, VII sec. a.C.